È possibile portare da casa i sacchetti per fare la spesa di frutta e verdura al supermercato. Questa notizia è stata data da decine di giornali, da un numero imprecisato di siti e da moltissime tv e radio. Tutti hanno focalizzato l’attenzione sulla possibilità di usare propri sacchetti (anche di carta) e non pagare quelli venduti dai supermercato. Pochi hanno spiegato che il Consiglio di stato si riferisce a buste: monouso, compostabili e per alimenti. Questi tre elementi cambiamo radicalmente il senso della notizia, presentata come una vittoria dei consumatori. La realtà è leggermente diversa. Analizzando con attenzione la decisione del Consiglio di stato si capisce che l’impatto per le persone abituate a fare la spesa è pressoché inesistente e che non ci sono vantaggi di sorta. Gli aggravi invece coinvolgeranno i punti vendita obbligati a istituire all’interno del negozio una nuova figura professionale: il responsabile dei sacchetti. Per superare questa situazione ormai paradossale Coop propone al Ministero della salute “di autorizzare le aziende a fornire gratuitamente sacchetti ultraleggeri compostabili per i consumatori; sarebbe un vantaggio per i consumatori e una semplificazione importante per gli operatori”.
La realtà è molto semplice. Pochissime persone hanno in casa buste o contenitori monouso (quindi nuovi), compostabili e per di certificati ad uso alimentare. Chi dispone di questi sacchetti li ha comprati a un prezzo da 3 a 10 volte superiore rispetto a quello richiesto dai supermercati (1-2 centesimi di euro) e li usa per altri scopi. Pensare che le persone possano andare a fare la spesa con queste borse, anziché utilizzare quelle reperibili in loco che costano decisamente meno è abbastanza bizzarro. Il legislatore non ha fatto bene i conti e, soprattutto, non ha pensato alla confusione che può ingenerare la situazione. Proviamo a immaginare un consumatore che durante un sabato pomeriggio entra in negozio con i suoi sacchetti e si rivolge al controllore per fare verificare l’idoneità igienica chiedendo di essere assistito quando è il momento di pesare la frutta per calcolare in modo corretto la tara. Help Consumatori ha ipotizzato alcuni scenari molto divertenti (non molto distanti dalla realtà) che potrebbero accadere.
Secondo scenario. Il consumatore si presenterà al reparto ortofrutta con una scorta di buste di carta, che saranno preventivamente verificate dall’addetto al packaging. Vi apporrà tutta la frutta e la verdura che vuole ma avrà problemi con la tara, misurata sul peso del sacchetto in plastica presente nel supermercato. Servirà dunque l’intervento del tecnico specializzato in pesi, misure e bilance per verificare che il kg di limoni imbustati e pesati corrisponda a un kg effettivo di prodotto, e non a 990 grammi. Nel frattempo, si sarà fatta la fila di persone che vogliono pesare il melone e andare in cassa.
Terzo scenario: il melone. Questo rappresenta il tipico esempio di prodotto ortofrutticolo che potrebbe non essere imbustato ma semplicemente posto nel carrello della spesa, dopo essere stato pesato e aver ottenuto la sua bella etichetta adesiva da incollare sulla buccia. Gli addetti alla cassa non sono però sicuri che il trasporto del melone privo di incarto sia igienico, quindi rimanderanno il consumatore al reparto chiedendogli di mettere il frutto in un sacchetto o in una busta di carta o in un incarto qualsiasi, che dovrà essere validato dall’addetto al packaging. La fila ricomincia.
Quarto scenario. Il consumatore fa la spesa per una famiglia numerosa, quindi si presenta al reparto ortofrutta del supermercato con una cassetta in legno per frutta e verdura. L’addetto al packaging non sapendo se la norma consente di porre spinaci sfusi, zucchine e peperoni, meloni, mele e pere all’interno della cassetta in legno, che pure rappresenta materiale ecologico e alternativo e che è di sicuro nuova (il consumatore l’ha comprata apposta) ma non necessariamente monouso. Chiama così il responsabile di reparto, che coinvolge il direttore del supermercato, che a sua volta si rivolge al responsabile della catena per chiedere un parere legale. La questione viene rimessa al Consiglio di Stato. La fila si allunga.
Quinto scenario. Il consumatore si presenta nel reparto ortofrutta con una retina ecologica lavabile. Questa è indubbiamente pulita, ma l’addetto al packaging ha qualche dubbio perché emana profumo di bucato. Potrebbe essere stata lavata con un detersivo che lascia residui, non adatto al contatto con gli alimenti. Chiama il responsabile di reparto, che chiama il direttore del supermercato, che chiama il responsabile della Gdo, che chiede una consulenza scientifico-chimica. La fila comincia a rumoreggiare.
La fine di questa storia è quasi scontata. Tra qualche mese nessuno si ricorderà più dei sacchetti e si potrà solo riflettere sulle inutili chiacchiere generaste da un provvedimento necessario e utile, gestito nel peggiore dei modi possibili da parte di politici che non hanno avvertito i consumatori e da parte del Ministero della salute, che prima di diffondere circolari sulla materia farebbe bene a ripassare qualche capitolo sul packaging alimentare.